
Licenziare costa ancora di più
Licenziare costa ancora di più
L’azienda che quest’anno licenzia un dipendente assunto a tempo indeterminato deve pagare un contributo all’Inps variabile da 50 fino a 10.856 euro. Questo è il “ticket di licenziamento”, pari al 41% del massimale mensile della Naspi. L’Inps ha fissato il predetto massimale per il corrente anno pari a 1.470,99 euro, da cui ne deriva la misura del ticket annuo, per il 2023, pari a 603,11 euro, mentre erano 557,92 euro per l’anno 2022.
Il ticket è dovuto in tutti i casi d’interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, salvo eccezioni: dimissioni, risoluzioni consensuali, decesso del lavoratore, licenziamento domestici, cessazioni in virtù di incentivi.
Va versato per ogni anno di anzianità posseduto dal lavoratore presso l’azienda che lo licenzia, fino a un massimo di tre. Per le frazioni di anno si paga in misura mensile (in caso di 15 o più giorni di lavoro, si conta un mese): importo annuo diviso 12.
Ci sono anche alcuni casi, licenziamento collettivo, in cui la tassa può essere maggiorata.
La domanda, già fatta in altre occasioni, è: perché una azienda dovrebbe licenziare? Se è in crisi ed è arrivata al punto di licenziare come si può pretendere che paghi una somma se esiste uno Stato che dovrebbe farsene carico attraverso vari istituti?
Altra domanda: perché le grosse aziende (prevalentemente multinazionali) che delocalizzano o chiudono non sono coinvolte in questo tipo di assistenza? E qui mi fermo perché di domande ce ne sarebbero ancora molte.
Giuliano Vendrame
Si Systems Trieste
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Tags: assunzioni, costi aziendali, licenziamenti