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Verifiche fiscali con l’IA: ci sono garanzie per i contribuenti?

VERIFICHE FISCALI

Verifiche fiscali con l’IA: ci sono garanzie per i contribuenti?

Dall’Agenzia delle Entrate (AE) arriva un esempio di funzionamento degli algoritmi in chiave antievasione. Nel documento sulla valutazione d’impatto delle nuove analisi e selezione del rischio di evasione informatizzate viene illustrato un esempio concreto di applicazione della logica degli algoritmi sviluppati al preciso fine di “…effettuare efficaci selezioni delle posizioni di contribuenti nei cui confronti avviare un’attività istruttoria”. Però, scorrendo il materiale in oggetto si evince che l’esempio proposto è stato recentemente realizzato dall’AE e quindi non è un semplice “study case”.

La selezione delle posizioni di contribuenti che verranno poi sottoposte ad attività di compliance fiscale o a controlli fiscali veri e propri, è un processo che si articola, ovviamente, in più fasi.

Grazie alla mole imponente di dati e informazioni presenti nell’anagrafe tributaria e nelle altre banche dati alle quali l’AE e la GdF hanno accesso, i risultati di queste analisi potrebbero consentire un vero e proprio salto di qualità alle azioni di contrasto all’evasione fiscale.

Il passaggio chiave dell’intero processo è comunque costituito dall’individuazione del rischio fiscale da intercettare. Sono infatti i connotati del rischio che si intende rilevare che guideranno gli algoritmi nel processo di selezione dei contribuenti, partendo da una popolazione elevata di soggetti fino ad arrivare ad un campione di posizioni ad elevato rischio fiscale.

Ruolo centrale di tali analisi è costituito dall’archivio dei rapporti finanziari.

Le informazioni contenute in tale banca dati, vero e proprio nucleo centrale dell’anagrafe tributaria, sono infatti sempre utilizzate nel corso delle attività, svolgendo un ruolo segnaletico nell’ottica del contrasto all’evasione, di primaria importanza.

Le due norme sopra citate prevedono infatti che le nuove analisi informatizzate del rischio di evasione utilizzino prioritariamente le informazioni presenti nell’archivio dei rapporti finanziari, previa “pseudonimizzazione” dei dati anagrafici dei contribuenti (ma certamente…).

Eccoci quindi arrivati. L’intelligenza artificiale entra prepotentemente tra gli strumenti operativi dell’AE. Lo scopo principale, così come ci racconta la stessa AE con un documentino di circa 100 pagine, è quello di accelerare l’attività di selezione delle posizioni da sottoporre ad accertamento, o destinatarie di semplici avvisi bonari, per chiedere conto di incongruenze e discrepanze tra i dati ufficialmente dichiarati e quelli presenti nelle banche dati del fisco.

L’AE ci tiene a precisare che “l’applicazione delle metodologie in parola non determina in alcun modo la profilazione dell’intera popolazione dei contribuenti. L’utilizzo dei dati dell’Archivio, infatti, eventualmente interconnesso con altre banche dati nella disponibilità dell’Agenzia delle entrate, è volto unicamente alla selezione di un numero circoscritto di soggetti, caratterizzati da un apprezzabile livello di rischio fiscale”. Mah… la realtà è un po’ diversa.

Che le banche dati utilizzate dall’AE contengano numerosi errori, lacune, incompletezze è un fatto risaputo da tutti coloro che con il fisco hanno avuto a che fare. Algoritmi che lavorano su dati errati non possono che produrre accertamenti o avvisi bonari privi di fondamento. Infatti più volte è intervenuto il Garante della Privacy, mettendo in guardia dai rischi che procedure automatizzate conducano ad atti che contengono false rappresentazioni delle capacità contributive di cittadini e imprese.

La teoria di questa procedura prevede il rispetto del principio di proporzionalità, per l’esecuzione dei controlli sulle attività economiche. Le soluzioni tecnologiche devono essere proporzionate alle dimensioni aziendali e atte a garantire la semplificazione delle procedure, nonché la sicurezza e l’interoperabilità (?!) dei sistemi informatici e dei flussi informativi. E se viene accertata la conformità agli obblighi e negli adempimenti, l’impresa si guadagna l’esonero da controlli ulteriori sul normale esercizio dell’attività economica.

L’amministrazione deve utilizzare il fascicolo informatico delle attività economiche mentre i funzionari controllanti e le imprese controllate sono chiamati a rispettare il principio di leale collaborazione, tenendo un atteggiamento aperto, trasparente e cooperativo.

Infine, il soggetto economico matura sempre un diritto di interpello ma può anche chiedere di essere controllato, al fine di verificare la conformità agli obblighi e agli adempimenti, e può guadagnarsi, anche se il controllo non è richiesto dallo stesso, l’esonero da controlli ulteriori sulle attività normalmente esercitate, avvalendosi del diritto all’errore, quando le violazioni riguardano adempimenti meramente formali, obblighi e adempimenti sanabili o che non hanno arrecato alcun pregiudizio all’interesse pubblico tutelato, in presenza di un’acclarata buona fede.

Sempre la teoria dice che il controllo deve essere proporzionato alle dimensioni del controllato e imperniato sulla reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione controllante, dei suoi funzionari e dei soggetti che svolgono le attività sottoposte ai controlli; all’avvio delle attività di controllo, il funzionario procedente deve comunicare i criteri in base ai quali il controllo scatta e la durata programmata, annuale o pluriennale, della verifica, che non può ostacolare o precludere lo svolgimento delle attività ordinarie.

Il problema, invece, è proprio che il contribuente rimarrà all’oscuro fino alla fine del processo che si sta svolgendo alle sue spalle (ahia… è sempre brutto avere qualcosa alle spalle). Solo quando gli arriverà il controllo o l’avviso di rettifica potrà chiedere di avere accesso ai dati che sono stati utilizzati per la produzione dell’atto che gli è stato recapitato. Cosa tutt’altro che semplice e veloce. È vero infatti che in teoria potrebbe avvalersi di numerosi strumenti a propria difesa, come l’istanza di autotutela, l’apertura di un contenzioso ecc. ma in ogni caso l’onere della prova si è già ribaltato su di lui e difendersi contro gli algoritmi dell’Agenzia delle entrate, senza la conoscenza di dettaglio dei dati utilizzati per la produzione dell’atto, mi sembra una impresa titanica.

Sbaglierò sicuramente ma mi ricorda la pesca a strascico. Buttiamo la rete e qualcosa vedrai che porteremo a casa.

Le garanzie per il contribuente sono veramente ben poche, anche perchè – effettivamente – il fisco mantiene una posizione privilegiata: nessuno infatti saprà mai come funziona di preciso l’algoritmo che viene utilizzato, se contiene, per esempio, errori marchiani (come capita anche ai migliori algoritmi) o falle che emergono solo nel corso degli anni.

La digitalizzazione dell’attività di accertamento, anche con l’impiego dell’IA, è infatti un processo previsto dal Pnrr (ecco che si spiegano tante cose…). Come può l’AE fermarsi? Non può, anche se non funzionasse, anche se ci fossero palesi errori ed ingiustizie o se dovessero emergere problematiche serie: per non perdere i soldi del Pnrr bisogna andare avanti come un Caterpillar.

Ai problemi dei contribuenti ci si penserà. Dopo. Forse.

Ma quindi la IA è una risorsa oppure è un rischio? Sinceramente ritengo veritiere entrambe la ipotesi.

Giuliano Vendrame
08/06/2023

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